LA DIAGNOSI E IL TRATTAMENTO DELLA DIPENDENZA: LE FASI DEL TRATTAMENTO, LA VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA TRA PRATICA CLINICA E RICERCA

Comunità Terapeutica Crest di Cuveglio

LA DIAGNOSI E IL TRATTAMENTO DELLA DIPENDENZA:  LE FASI DEL TRATTAMENTO, LA VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA TRA PRATICA CLINICA E RICERCA

Dott.ssa Serena Dainese, Psicologa

LE FASI DEL TRATTAMENTO

Il percorso del paziente in comunità è scandito da diverse fasi:

Ø Valutazione psicodiagnostica all’ingresso

Ø Orientamento sulle regole di base e sul modello di cura, con sottoscrizione del contratto terapeutico e condivisione del piano di trattamento

Ø Intervista sulla vita e inserimento in tutte la attività della struttura

Ø Accesso graduale ai ruoli gerarchici di collaborazione e coordinazione in seguito a verifica

Ø Trasferimento negli appartamenti

Ø Dimissione con proposta di servizi ambulatoriali

Come elencato sopra, la valutazione è una delle fasi prioritarie nella strutturazione del trattamento, tanto che ne verrà dedicata una descrizione nel prossimo paragrafo.

Le fasi successive riguardano invece un graduale inserimento nelle attività della comunità, accompagnato da una progressiva assunzione di responsabilità.

Successivamente al momento di valutazione, il paziente viene infatti seguito individualmente o, se presenti altri nuovi ingressi, in un gruppo selezionato, al fine di essere orientato sulle regole base della comunità.

Esse contemplano principalmente la cura del sé e degli spazi personali e comuni, che tendono spesso a essere trascurati per una mancanza di disciplina che ostacola la creazione di un equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni personali e le richieste ambientali.

La presenza per esempio di orari standard per tutti (quelli della sveglia, delle conte giornaliere, dei pasti, delle pulizie ecc.) non solo favorisce una regolarità nella strutturazione del quotidiano, ma introduce nella vita del paziente anche il costrutto di norma e di limite, spesso deficitario in famiglia.

L’apprendimento di regole condivise e l’osservazione critica delle loro deviazioni offre dei contenuti di analisi importanti soprattutto nelle terapia di gruppo.

Partendo infatti dal presupposto che la comunità rappresenta un microcosmo il cui funzionamento al suo interno può facilmente essere generalizzato alla vita all’esterno, è possibile far emergere i modelli comportamentali e gli stili cognitivi (le cosidette “trappole”) che hanno favorito e continuano a favorire delle condotte inefficaci che si avvalgono spesso della collusione con altri membri, riproducendo un tipico funzionamento tossicomanico di “alleanze patologiche”.

La possibilità di riflettere in modo non giudicante su questi aspetti, oltre alla sperimentazione non punitiva di conseguenze (sia in termini emotivi sia concretamente nella negazione di uscite e nella riduzione del numero di gettoni/sigarette giornaliere), aiutano il paziente a interiorizzare dei valori morali e un senso di responsabilità sempre meno legati a un controllo che inizialmente è prevalentemente esercitato dall’esterno.

Oltre alla presenza di gruppi confrontativi su questi comportamenti, sono presenti altri gruppi didattici legati alla spiegazione e alla sperimentazione di skills che verranno in seguito illustrate insieme al modello di riferimento.

La possibilità di partecipare a tutte le attività della comunità viene poi simbolicamente sancita da un’ “intervista sulla vita”.

Nei primi mesi dall’ingresso, infatti, il paziente ha il compito di scrivere la propria storia di vita, includendo gli eventi più significativi e il percorso tossicomanico e di scegliere alcuni compagni di terapia con cui condividerla.

Questo strumento si rivela molto utile non solo in termini di condivisione e vicinanza emotiva, ma anche in termini di problematizzazione della propria situazione, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza di malattia.

In seguito a questo momento che apre a un periodo di osservazione, viene strutturato e condiviso con il paziente il suo piano di trattamento (PTR), in cui vengono evidenziati i comportamenti disfunzionali da diminuire e quelli efficaci da aumentare con l’esplicitazione degli strumenti terapeutici che verranno utilizzati. Ogni tre mesi il PTR del paziente viene rivisto e aggiornato.

Dopo i primi mesi di inserimento in cui vengono apprese le regole della comunità e gli strumenti della terapia che verranno in seguito descritti, è possibile accedere a ruoli di maggiore responsabilità che implicano un lavoro a più alto livello che coinvolge maggiormente la sfera relazionale e le capacità di essere assertivi.

Il ruolo gerarchicamente più elevato è quello di coordinazione, in cui il paziente si trova spesso a gestire i rapporti sia con i nuovi ingressi sia con gli operatori, organizzando gran parte delle attività di gestione della casa e delegandone lo svolgimento.

Il ruolo di collaborazione è invece quello immediatamente precedente che implica un affiancamento al coordinatore, aiutandolo nella gestione delle questioni pratiche e nell’affiancamento dei nuovi membri con funzione di orientamento.

Al termine di questo percorso, vengono effettuati dei gruppi di verifica sulla possibilità di trasferimento del paziente in appartamenti gestiti dalla stessa struttura per monitorare la capacità di generalizzazione delle strategie apprese in un ambiente meno controllato.

In questi gruppi si lavora principalmente sulle difficoltà che il paziente si aspetta di dover fronteggiare e sulle situazioni pericolose da cui si dovrà sottrarre in quanto eccessivamente stimolanti.

Il percorso di gruppo viene inoltre affiancato, dall’inizio alla fine, da colloqui settimanali con un professionista della salute mentale oltre che da un costante monitoraggio delle urine e da un sostegno psicofarmacologico a seconda dei casi.

I colloqui individuali hanno l’obiettivo di approfondire i temi emersi in gruppo e approfondirne altri che richiedono un contesto più protetto, alternando interventi di sostegno e di esplorazione.

Al momento della dimissione vengono infine proposti altri servizi a livello ambulatoriale con funzione di monitoraggio e approfondimento al fine di prevenire le ricadute.

 1.4 LA VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA TRA PRATICA CLINICA E RICERCA

Al momento dell’ingresso in comunità ogni paziente viene valutato attraverso una batteria testistica standard a cui possono essere aggiunte valutazioni specialistiche in funzione delle necessità.

Dopo alcuni incontri conoscitivi con uno psicologo o psicoterapeuta in cui vengono raccolte in modo approfondito le informazioni anamnestiche, vengono somministrati i seguenti strumenti diagnostici:

Ø SCID-II – Structured Clinical Interview for DSM-IV (First et al., 1997): permette una diagnosi categoriale dei disturbi della personalità in funzione di criteri sintomatologici stabili e pervasivi in diverse aree del funzionamento

Ø STIPO – Structured Interview of Personality Organization (Clarkin at al., 2007; Kernberg, 1984): permette una diagnosi strutturale della personalità attraverso la valutazione della gravità dei criteri di identità, difese primitive, esame di realtà, relazioni interpersonali, strategie di coping, aggressività e valori morali

Ø YSQ-L3 – Young Schema Questionnaire (Young & Klosko, 1993): permette di evidenziare la presenza di schemi cognitivi maladattivi che sono causa di disagio psichico, con conseguenti ricadute relazionali.

In aggiunta, se sono presenti dubbi su possibili deficit cognitivi, viene somministrata anche la WAIS-R – Wechsler Adult Intelligence Scale (1981).

Solo in rari casi, in presenza di una scarsa informatività esplicita durante la somministrazione di questi strumenti o di chiusura affettiva, vengono somministrati anche alcuni test proiettivi.

Nel corso di quest’anno è stato introdotto anche un ulteriore strumento di valutazione: l’Asse K di Kennedy (2003).

Questo strumento è stato inserito principalmente a scopo di ricerca, in risposta all’introduzione nella quinta edizione del DSM del Whodas 2.0 (1988) – World Health Organization Disability Assessment per la valutazione del funzionamento psichiatrico.

Essendo quest’ultimo limitato rispetto alle informazioni fornite in quanto indice della sola disabilità e non di funzionamento adattivo, è stato ritenuto opportuno metterlo a confronto con l’Asse K, già validato in altri studi (Bonalume et al., 2007; Mundo et al., 2010).

L’Asse K si compone di sette sottoscale: compromissione del funzionamento psicologico, abilità sociali, comportamenti violenti, attività della vita quotidiana/abilità occupazionali, abuso di sostanze, compromissione delle condizioni fisiche e compromissione in altre aree.

In aggiunta, offre anche due indici globali: uno sul livello di pericolosità e un altro che funge da equivalente del VGF.

La sua multidimensionalità permette dunque una visione integrata della persona secondo un continuum di gravità che favorisce l’identificazione di anche minimi cambiamenti nel tempo, sostenendo gli studi sull’efficacia del trattamento.

L’applicazione dello strumento all’interno di un setting residenziale ha così permesso non solo di avvalorare le ipotesi di partenza, ma di rivelarsi anche utile a livello clinico favorendo una visione olistica e integrata del paziente, comprendendo sia i suoi aspetti disfunzionali, sia quelli funzionali, in linea con i presupposti teorici del modello teorico in seguito presentato.

 

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