Perché affrontare la tossicodipendenza in Comunità? Intervista a Fabio Rancati a cura della Dr.ssa Alessandra Catania

Perché affrontare la tossicodipendenza in Comunità?

Intervista a Fabio Rancati a cura della Dr.ssa Alessandra Catania

pubblicato su http://www.dentrounquadro.it/interviste/intervista-a-fabio-rancati del 14.05.2014

 

Che tipo di percorso di cura offrono le Comunità per tossicodipendenti?

Le comunità per le tossicodipendenze sono estremamente differenziate, quindi passiamo da un’offerta in strutture molto grandi, molto estese che spesso non hanno una metodologia dichiarata, a comunità accreditate e quindi parte del Sistema Sanitario Nazionale che invece seguono una specifica metodologia. Quello che fa la grossa differenza è l’atteggiamento terapeutico dal mio punto di vista, è fondamentale seguire un modello clinico, cioè avere un’attenzione a quello che è il mondo interno del paziente, la sua struttura di personalità, un piano di trattamento personalizzato e degli strumenti adeguati per raggiungere gli obiettivi. La nostra comunità, ad esempio, ha adottato fin dai primi anni ’90 una metodologia Cognitivo Comportamentale che è uno dei pochi modelli validati a livello internazionale per quello che riguarda il trattamento dei disturbi di personalità concomitante con l’abuso di sostanze (doppia diagnosi). Per cui non ci appoggiamo a quello che di consueto si definisce l’ergoterapia, cioè stare insieme in un ambiente sufficientemente sano, compiendo azioni “normali”.

Al fianco di una metodologia definita è necessario garantire la protezione della “soglia”, nel senso che noi, da sempre, crediamo che per avere una possibilità di scardinare un sistema complesso come un comportamento di abuso bisogna creare un ambiente sufficientemente protetto e per questo intendo utilizzo dei test per le urine, screening degli effetti personali e grande attenzione nei confronti delle relazioni dei pazienti. Questo è anche uno dei motivi per cui, in certi casi, la residenzialità è propedeutica a quello che sarà il lavoro ambulatoriale. Quest’ultimo per essere affrontato prevede una serie di competenze da parte del paziente che spesso non ritroviamo nei pazienti ospiti delle nostre Comunità, luogo in cui cerchiamo di alfabetizzare il nostro paziente per renderlo innanzitutto coerente con un processo psicoterapico ambulatoriale. Però questo è il fine, gli strumenti devono essere adeguati al fatto che spesso questi pazienti sono assolutamente incompetenti. Anche il fatto di lavorare in gruppo è un fattore determinante, nel senso che in un contesto psicoterapico individuale tanti degli aspetti deficitari dei disturbi gravi di personalità non possono essere osservati.

Come dire che se uno di questi pazienti dovesse essere messo su un’isola deserta e filmato da una telecamerina difficilmente potrebbe essere osservabile dal punto di vista psicopatologico, essendo proprio una patologia che si esprime come una difficoltà a livello relazionale. Proprio in un ambiente con una ricca dinamica relazionale possono invece emergere tutte quelle parti deficitarie che poi diventeranno parte del piano di trattamento.

Qual’ è l’iter per poter accedere a una comunità di questo genere?

Le principali modalità sono due: la prima è quella di ospitare pazienti nel rispetto del budget regionale che regione Lombardia mette a disposizione, si tratta di quei pazienti che vengono accolti su invio diretto dei SERT e dei CPS, quindi pazienti esclusivamente a carico del SERT, pazienti in condivisione con il CPS perché in doppia diagnosi.

Una volta ricevuta la documentazione vengono inseriti in lista d’attesa. I tempi sono abbastanza lunghi anche perché i posti letto in doppia diagnosi in Lombardia sono piuttosto pochi e molto richiesti. L’altro canale è il canale della solvenza, ovvero quello privato, che ovviamente è più veloce seppur costoso ma che a sua volta può prevedere anche la possibilità di rientrare poi nella sponsorizzazione regionale qualora i servizi invianti lo ritenessero opportuno.

Cosa impedisce a chi abusa di sostanze stupefacenti di intraprendere un percorso di cura?

Intanto dobbiamo dire che il problema principale dei pazienti con disturbo grave di personalità, spesso presente in chi abusa di sostanze stupefacenti, consiste proprio nella loro mancanza di consapevolezza di malattia. Non essendo consapevoli non sentono il proprio mal di pancia. Disagio che invece viene percepito dall’ambiente circostante, quindi dai genitori, mogli, fidanzati, figli, ecc. che talvolta spingono affinché queste persone si rivolgano all’esperto e quindi a intraprendere un progetto di cura. Non sentendo il mal di pancia è comprensibile che il paziente non abbia la motivazione necessaria per affrontare qualche cosa che è di per se faticoso e impegnativo ma che soprattutto lo tiene lontano da quelle sostanze che ha così tanto amato.

Diversamente da un paziente oncologico, che è un paziente che richiede le cure, questi sono pazienti che invece vedono le cure come il diavolo e l’acqua santa. In questi casi la capacità dell’equipe è proprio quella di creare un “contratto terapeutico”, creando le leve motivazionali necessarie affinché il paziente possa in fasi successive acquisire quelle competenze necessarie per tornare a diventare un cittadino del mondo. Dal punto di vista della costrizione esiste solo quella delle cure coatte, perché non saranno certe le minacce di un genitore che possono fermare una macchina da guerra come un ragazzo adolescente abusatore di sostanze. Talvolta invece è la macchina della giustizia che riesce a creare le condizioni affinché queste persone possano essere fermate nel tentativo di restituire loro la responsabilità per avere poi un accesso volontario alle cure. Quindi questo è il vero problema: come indurre queste persone alle cure.

Fabio Rancati sociologo, inizia la propria attività a metà degli anni ’80 presso il Centro di Riabilitazione “Portage” (Montreal, Canada) nell’ambito delle condotte di abuso. All’interno di CREST dirige personalmente la Comunità per tossicodipendenti di Cuveglio (VA) e supervisiona le strutture cliniche dell’intera istituzione. Nel 1995 consegue certificato per il “Percorso di Formazione DBT – Dialectical Behavior Therapy” (M.M. Linehan, USA, 1993). Si occupa di formazione e collabora con l’Università di Milano-Bicocca. www.crest.it

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