La Comunità Terapeutica tra Mito e Realtà

“Selezione dei pazienti e messa a punto del progetto terapeutico in C.T.”

Marzia Mori-Ubaldini, Fabio Rancati

Sommario

Descrizione del metodo di selezione dei pazienti: test di personalità, colloqui clinici, osservazione in clinica o in comunità.

  1. Osservazione in istituzioni ospedaliere e in comunità. Accoglimento e presa in carico del paziente.
  2. Criteri di selezione.
  3. Psicodiagnostica.

Descrizione dell’andamento della vita residenziale.

  1. La struttura settimanale
  2. La socioterapia.
  3. L’équipe e la supervisione.
  4. Il modello dialettico comportamentale.
  5. Interventi sulla famiglia.
  6. Il trattamento farmacologico.
  7. Ruolo della Psicoanalista.
  8. Riunione plenaria dello Staff e messa a punto del progetto terapeutico.

Descrizione del metodo di selezione dei pazienti: test di personalità, colloqui clinici, osservazione in clinica o in comunità.

1. Osservazione in istituzioni ospedaliere e in comunità. L’inserimento del paziente.

Le richieste d’intervento pervengono al Crest dai pazienti, dalle loro famiglie, o tramite istituzioni pubbliche-private e da professionisti.
Nel primo caso s’organizza un periodo d’osservazione presso la Clinica Le Betulle dove i pazienti sono sottoposti ad uno screening diagnostico, colloqui clinici individuali e di gruppo, ricostruzione anamnestica e, dove necessario, sono approntate terapie farmacologiche.
Questo primo periodo ha una durata media di due settimane; al termine, sono restituiti al paziente e ai suoi familiar, sia i risultati dell’osservazione sia un’indicazione terapeutica.
Nel caso in cui la richiesta provienga da altre istituzioni psichiatriche, si vaglia l’ipotesi di un ingresso diretto. Qui si svolge lo stesso tipo d’osservazione in ambito non ospedalizzato, al fine di verificare la possibilità di pervenire ad un progetto terapeutico.
Se la richiesta proviene da un professionista, di comune accordo, si decide quale di queste situazioni possa essere funzionale rispetto al malessere portato dal paziente.
Durante il periodo di osservazione , si prende in carico la famiglia del paziente e si collabora con l’inviante sia esso un’istituzione o un professionista.

2. Criteri di selezione.

Il criterio di selezione dei pazienti adatti al tipo di intervento organizzato nel Centro di Vinago si fonda sulla possibilità di prevedere una corricpondenza fra il quadro clinico presentato dal paziente e la efficacia prevedibile, in senso terapeutico, del metodo applicato nella Comunità. In altre parole, il Crest non si propone come struttura di contenimento e di sorveglianza, per quanto anche queste funzioni, in una certa misura, debbano essere svolte, al contrario l’impegno è quello di sviluppare un miglioramento del controllo del comportamento del paziente aI fine di aumentare la sua consapevolezza e responsabilità verso il problena.
Si potrebbe dire che il compito del Crest è quello di trasformare un paziente “difficile” in un paziente adatto ad intraprendere una terapia ambulatoriale.
L’ aggettivo “difficile”, superato ed approssimativo, conserva tuttavia un potere di sintesi nelle impressioni soggettive e negli scambi fra colleghi, residuando il rischio di nuove e pericolose generalizzazioni, nonostante la diagnosi dei disturbi gravi di personalità si sia fatta nel tempo sempre più raffinata.
Se, allora, immaginiamo che sotto l’aggettivo “difficile” si nasconda uno spettro di possibilità cliniche diverse, superato lo schermo della generalizzazione si fanno strada criteri più specifici. Così possiamo già affermare che, per il tipo di organizzazione della struttura di Vinago, vanno esclusi i pazienti in cui sia stato evidenziato un marcato tratto di disturbo antisociale di personalità, pazienti questi che vengono vissuti dagli operatori come pazienti “pericolosi” come per esempio nei casi in cui, in anamnesi, si rilevi che questi pazienti abbiano prodotto ferite gravi a terzi, o addirittura ucciso.
In tali casi abbiamo osservato una vera e propria paralisi della dinamica di gruppo a partire dal clima di paura vissuto dai pazienti e che ben presto contagia anche gli operatori.
Indicando un primo generale criterio di esclusione farei riferimento alle tabelle 1 e 2.
Superato questo non trascurabile punto si apre una valutazione molto più articolata che al di là della diagnosi specifica del disturbo di personalità fa riferimento piuttosto alla necessitàdi dare continuità alle cure del paziente.
Nei pazienti nei quali è prevalente una organizzazione borderline di personalità, 1‘ impiego di meccanismi di difesa primitiva determina una caratteristica discontinuità psichica, espressione di stati contradditori, che influenza massicciamente le intenzioni ed i progetti di tali pazienti.
Così ciò che è buono oggi non va più bene domani.
Ciò che è stato progettato oggi domani non ha più senso.
A questo destino non sfugge l’impegno nella terapia di questi pazienti.
L’inserimento nella C.T. si propone di dare continuità ad una intenzione terapeutica sostenendo ed aiutando il paziente a superare quelle crisi che in altri contesti determinerebbero significativi sabotaggi della terapia.
Naturalmente il processo di superamento della crisi di cui parliamo non è un’azione di contenzione.
Si tratta di individuare i presupposti della crisi, i prodromi, i meccanismi d’innesco, le cause favorenti, e da quì passare alla individuazione di strategie di risoluzione delle quali il paziente, inizialmente supportato dal gruppo e dagli operatori, possa nel tempo appropiarsi fino a diventare protagonista della continuità delle sue intenzioni.
In questo senso la C.T. è una occasione di grande opportunità offerta dal “tempo pieno” di convivenza del paziente all’interno della struttura terapeutica che consente di seguire peculiarmente le numerose variazioni, anche nell’ambito della stessa giornata, delle “intenzioni” del paziente.
L’altra importante somma di opportunità è offerta dal complesso sistema di relazioni con altri residenti che moltiplicando il gioco delle proiezioni e delle identificazioni conferisce maggiore “densità” al vissuto quotidiano favorendo così una intensificazione dell’azione terapeutica sul suo peculiare contesto che è quello della intersoggettività.
Ma la C.T. non è solo gestione della crisi.
Fin dalla prima osservazione dei giovani affeti da disturbi gravi di personalità avevamo notato nelle forme più severe una difficoltà di fondo a raccontarsi e raccontare, portando nei colloqui un materiale povero e piatto che di fatto non consentiva al terapeuta di farsi in tempi utili una corretta idea della esperienza soggettiva del paziente, ovvero un’idea che consentisse alla relazione terapeutica, organizzata in sedute ambulatoriali, di essere utile.
In altre parole la sindrome di dispersione di identità che sottende quanto ora descritto, in taluni casi è di tale entità da rendere molto difficile l’impostazione ed il mantenimento di una terapia ambulatoriale.
Casi di questo tipo hanno mostrato un chiaro giovamento se impegnati in una terapia di tipo cognitivo-comportamentale che consente una sorta di “alfabetizzazione “ del paziente circa il suo mondo interno (comprese le rappresentazioni delle sue relazioni) che rende il paziente più adeguato al trattamento psicoterapeutico ambulatoriale.
In sintesi si potrebbe dire che il criterio di selezione divente un principio di prescrizione di intervento su pazienti che per la qualità della loro patologia troverebbero difficile impegnarsi in un trattamento terapeutico ambulatoriale.
Si genererebbero infatti ripetute interruzioni di terapia che possono aprire la strada ad una pericolosa sensazione di fallimento ed inguaribilità.
In queste condizioni il paziente tende a considerarsi non responsabile, giustificato dalla gravità della sua malattia e quindi libero da ogni richiamo di impegno o partecipazione al processo terapeutico.
La C.T. ha la funzione di far riscoprire al paziente la quota di responsabilità che gli compete pari al tipo di impegno che egli è in grado di sostenere.



TABELLA 1 Fattori predittivi di risposta terapeutica positiva e negativa al ricovero in un reparto di psichiatria*.

Risposta Negativa

  1. Anamnesi positiva per arresti per reato.
  2. Anamnesi positiva per menzogne, falsità, raggiro.
  3. Pendenze legali da definire al momento del ricovero.
  4. Anamnesi positiva per condanne per reato.
  5. Ricoveri obbligatori come alternativa all’incarcerazione.
  6. Anamnesi positiva per violenze verso terzi.
  7. Diagnosi sull’asse I di alterazione cerebrale organica.

Risposta positiva

  1. Presenza di ansia.
  2. Diagnosi sull’asse I di depressione.
  3. Diagnosi sull’asse I di una psicosi che non sia depressione o sindrome cerebrale organica * Basata su Gabbard, Coyne (1987)



TABELLA 2 Caratteristiche cliniche che controindicano ogni tipo di psicoterapia*.

  1. Una storia di comportamenti sadici, violenti verso gli altri esitati in ferite gravi o morte.
  2. Una totale assenza di rimorso o di razionalizzazione per tali comportamenti.
  3. Un’intelligenza veramente superiore o nell’ambito di un ritardo mentale moderato.
  4. Un’incapacità anche pregressa di sviluppare legami emotivi con gli altri.
  5. Un’intensa paura controtrasferale di attacchi aggressivi in clinici esperti anche in assenza di un chiaro comportamento in tal senso da parte del paziente.

* Basata su Meloy (1988)

3. Psicodiagnostica.

Confrontando i risultati dei test sottoelencati con l’osservazione clinica, si determinano quei tratti di personalità che possono giovarsi del nostro trattamento residenziale poiché coincidono con l’emergere dell’organizzazione borderline di personalità ovvero: esame di realtà integro (tutt’al più disfunzionale), presenza di difese primitive e dispersione d’identità.

D.S.Q. : Il questionario sugli stili di difesa, (DSQ), è costituito da 88 affermazioni che sono designati incidere sulle derivazioni consce dei meccanismi di difesa.
Le ricerche effettuate mediante il DSQ hanno condotto a quattro fattori che sono stati descritti come stili di difesa poiché le affermazioni che andavano a corrispondere a ciascuno dei fattori, avevano una dimensione comune che rifletteva uno stile di adattamento a stress interni o esterni.
La tavola riassuntiva del DSQ mette in evidenza, oltre ai quattro stili difensivi, una serie di meccanismi di difesa correlati positivamente ad ognuno di essi.

P.D.Q.-R : è un questionario autosomministrato per la diagnosi di disturbo di personalità secondo i criteri del DSM III R. Lo strumento è diviso in 13 aree diagnostiche corrispondenti ai disturbi di personalità previsti dall’asse II.
Perché si possa fare diagnosi di Disturbo di Personalità, è necessario che si raggiunga un punteggio pari o superiore a 45 oltre a dimostrare la presenza di tratti di personalità come evidenziato dalla pagina riassuntiva del PDQ. Oltre a ciò, sono presenti tre indici di attendibilità delle risposte date al questionario.

S.C.I.D. : strumento diagnostico basato sulla classificazione del DSM III R che permette una valutazione sistematica dei disturbi dell’asse I e II. Lo SCID è derivato empiricamente dall’osservazione ed elaborazione di interviste condotte da esperti nella diagnosi differenziale clinica; è un’intervista semi-strutturata che permette al diagnosta di sviluppare un rapporto di empatia con il paziente e si sviluppa poi in una serie di domande specifiche.
SCID II : è uno strumento per fare la diagnosi in asse II degli 11 disturbi di personalità del DSM III R; permette la diagnosi sia dal punto di vista categorico (presente / assente) che dimensionale (notando il numero di criteri soddisfatti per ogni disturbo di personalità).
SCID ED : investiga la presenza o l’assenza dei criteri diagnostici per la determinazione di una diagnosi di anoressia o bulimia nervosa.
SCID P : è destinato all’uso con pazienti psichiatrici e contiene moduli riguardanti : sindromi dell’umore, sintomi psicotici e associati, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi somatoformi.

D.I.B.-R : intervista semistrutturata che investiga sul disturbo borderline di personalità mediante la ricerca di informazioni che riguardano quattro aree: affettività, cognitività, impulsività e relazioni interpersonali. (John G. Gunderson M.D.)

I.P.O. : Questionario autosomministrato che indaga l’organizzazione borderline di personalità e i tratti di disturbo di personalità collegati. E’ stato studiato in riferimento ad un indirizzo di ricerca in psicoterapia presso il New York Hospital. Ognuno dei tratti è espresso tramite un punteggio percentuale ( minimo 20% massimo 100% ); al crescere del punteggio percentuale aumenta la probabilità di presenza della patologia. Unica eccezione è il tratto “normal” per il quale vale l’opposto ( maggiore punteggio percentuale=più alto indice di normalità ).

Rorschach: Test proiettivo.

Descrizione e andamento della vita residenziale.

1. La struttura settimanale

La residenza protetta di Vinago è in grado di ospitare ventidue residenti all’interno della ex villa Sonzogno.
I residenti stanno in camere a due letti con bagno, nella casa poi oltre alla stanza da pranzo ci sono due ampie sale utilizzate nel tempo libero come salotti con possibilità di sentire musica e farne(c’è un pianoforte ), vedere la televisione, ed essere utilizzate per alcuni gruppi; inoltre vi sono le stanze per gli atelier e una piccola palestra. La vita all’interno della CT alterna momenti in cui i residenti hanno colloqui individuali di approfondimento diagnostico e di terapia di sostegno a trattamenti di gruppo con momenti di tempo libero, atelier e responsabilità all’interno della casa.
L’organizzazione verticale del gruppo rende possibile l’acquisizione di successive responsabilità relative a ruoli prestabiliti. Il paziente sperimenta così un primo momento di regressione- dipendenza dal gruppo e un successivo passaggio a una fase di individuazione e autonomia.
Durante i giorni feriali vengono rispettate le seguenti fasce orarie:

07.30 – 09.30 Sveglia, colazione, somministrazione farmaci, responsabilità personali, ginnastica.
09.30 – 10.30 Gruppo del mattino.
10.30 – 11.00 Coffee-break.
11.00 – 13.00 Atelier.
13.00 – 14.00 Pranzo e somministrazione farmaci.
14.00 – 14.30 Riordino cucina.
14.30 – 15.30 Tempo libero
16.00 – 18.00 Gruppi e coffe break.
19.00 – 19.30 Gruppo della sera e preparazione della cena.
19.30 – 20.30 Cena.
20.30 – 21.00 Riordino cucina
21.00 – 23.00 Tempo libero (giochi, animazione, tv ……), somministrazione farmaci.
23.00             Silenzio

Durante il fine settmana la sveglia è ritardata (9.00 per il Sabato e 10.00 per la domenica);
vengono mantenuti solo i gruppi del mattino e della sera, sono inseriti seminari portati dagli stessi pazienti e attività ludiche.
Dal venerdì alle 19 alla domenica alle 19, i residenti possono organizzare delle uscite previo la preparazione di un programma discusso in un apposito gruppo. Per il pernottamento, possono avvalersi di un appartamento protetto situato nel centro di Milano.
Sempre nell’arco del fine settimana si possono concordare visite da parte degli “altri significativi”.
I momenti gruppali possono essere suddivisi a secondo del modello di riferimento e del loro obbiettivo:

Gruppi di matrice educativo-pedagogica finalizzati all’organizzazione e gestione della vita in comune:
Gruppo uscite: finalizzato all’organizzazione delle attività e alla verifica delle aspettative(esame di realtà) e del budget.
Gruppo sul feedback delle uscite: finalizzato alla chiarificazione dell’esperienza fatta durante l’uscita.
Gruppo acquisizioni: per la valutazione del bisogno di acquisti personali.
Gruppo del tempo libero: per l’organizzazione degli spazi relativi al tempo libero.
Gruppo della sera: volto al racconto dei fatti significativi della giornata e all’espressione degli stati emotivi.

Gruppi cognitivo-comportamentali (modello dialettico comportamentale della Dr. Marsha M.Linehan):
Gruppo del mattino: finalizzato al riconoscimento dei patterns e alla costruzione delle relative “skills”(strategie adattative).
Gruppo Emozionale: volto al riconoscimento e all’espressione delle emozioni.
Gruppo dei piani di trattamento: determina la progressione all’interno della terapia.
Seminari: avvalendosi di materiale didattico di supporto, i seminari forniscono ai pazienti tutte le informazioni e gli esempi atti a regolare le emozioni, a gestire i propri pensieri, a conoscere i propri comportamenti con l’obbiettivo di lavorare su quei funzionamenti che vanno ad aumentare, invece che a diminuire, la sofferenza.

Gruppi e colloqui psicoterapici:
Un gruppo settimanale tenuto dal supervisore finalizzato alla verifica dei casi clinici.
Un gruppo settimanale tenuto da una psicoanalista finalizzato all’osservazione psicodinamica delle relazioni oggettuali dei pazienti ed elaborazione degli eventi ritenuti significativi della settimana.
Un gruppo settimanale che tratta le problematiche familiari finalizzato all’elaborazione delle dinamiche di ogni nucleo e come preparazione agli incontri con i familiari.
Colloqui settimanali finalizzati alla verifica del trattamento farmacologico e della possibilità d’accedere ad una psicoterapia esterna.

2. La socioterapia.

Dopo circa un anno dall’apertura di Vinago, cerchiamo di fare il punto sull’esperienza vissuta all’interno degli Atelier di yoga, decorazione, falegnameria e mimo.
Abbiamo voluto partire dall’osservazione del paziente, sicuri che lui ci avrebbe fornito tutte le indicazioni per mettere a punto un modello d’intervento che desse la possitilita al nostro interlocutore di riconoscersi come individuo mettendo a fuoco quelle potenzialità spesso sottovalutate e a lui sconosciute.
Perciò:

  • l’esperienza ludico-artistica vista come capacita di modulare i vissuti emotivi;
  • l’obiettivo e quello di osservare e non di utilizzare lo strumento a scopo interpretativo;
  • presenza non giudicante del conduttore.

In prima istanza questo strumento di comunicazione non verbale ha creato sconcerto nei pazienti che, al di là dell’entusiasmo iniziale, hanno avuto bisogno di un modello guidato dove il conduttore doveva essere, soprattutto, colui che propone.
Generalmente, la prima risposta del paziente di fronte alla proposta di un compito e stata quella di autosvalutarsi: “non ce la faro mai; non sono capace; è ridicolo”.
L’unico approccio possibile per superare la diffidenza e stato quello di lavorare con loro quasi singolarmente Infatti, tutti avevano bisogno di grande supporto gratificante che desse enfasi al risultato che si andava ad ottenere Solo cosi, il paziente, è riuscito a darsi la possibilità di provare, verificando la presenza di potenzialità mai prese in considerazione che gli producevano una piacevole esperienza delle proprie capacità: il risultato poteva essere fine a se stesso senza che ne conseguisse un giudizio.
Ciò ha permesso loro di provare e divertirsi.
Ad un certo punto ci si e posti il problema del setting, determinato dal luogo e dai materiali. Una difficoltà verificata fu quella di non avere subito “il luogo”. Ciò creava confusione e dispersione. Dal momento in cui e stato possibile definire lo spazio, sapere che i materiali avevano una loro ubicazione si e modificato anche il grado di autonomia del paziente che si muoveva più liberamente all’interno dell’atelier.
Siamo sempre in uno schema di modello guidato.
Nonostante la sollecitazione a portare delle progettualità, non esiste, o e difficile creare continuità tra progetto e realizzazione dello stesso. C’è la tendenza alla proposta di obiettivi senza tenere in considerazione le fasi necessarie per raggiungerli.
E’ stato importante, in fase di avviamento degli atelier, I’idea di un incontro mensile tra i conduttori dei diversi spazi socioterapeutici; aI di là di un bisogno di conoscenza, questo ci ha dato la possibilità di superare le difficoltà iniziali e di far fronte all’angoscia e all’atteggiamento diffidente che il paziente ci portava.
Ci siamo posti come obiettivo la possibilità di lavorare, ognuno nel proprio ambito, per la realizzazione di un progetto comune. E’ stato interessante e due sono stati i momenti di verifica:

  • la preparazione della festa di natale;
  • l’allestimento di uno spettacolo ludico-artistico.

Il lavoro interdisciplinare ha aumentato lo spirito di gruppo.
La presenza di un obiettivo chiaro da raggiungere ha potuto dimostrare come,nello spazio dei singoli atelier, il paziente diventava più autonomo e capace di organizzarsi così che il conduttore poteva assumere un ruolo più marginale di osservatore-supervisore.

Descrizione della messa a punto del progetto terapeutico che avviene nella riunione dello Staff come momento di integrazione dei vari componenti secondo il modello scientifico di riferimento e secondo il particolare punto d’osservazione: operatori, conduttori dei diversi gruppi, psichiatri, psicologi, psicoanalista.

3. L’équipe e la supervisione

Tenendo presente quanto ormai largamente riconosciuto dalla letteratura e cioè la tendenza del paziente borderline a portare all’équipe parti scisse di sé e a creare continui giochi di proiezioni, si è reso indispensabile dare vita ad una équipe che fosse allo stesso tempo eterogenea nelle rispettive specificità e “somigliante” per quello che concerne la disponibilità personale all’investimento nel lavoro clinico e alla supervisione.
Con questi presupposti si costituisce lo Staff di Vinago, composta da medici, medici- psichiatri,psicoanalisti, psicologi, infermieri, operatori, conduttori di atelier.
Si determinano tre gruppi di lavoro ben integrati: i clinici, i conduttori di atelier, i medici di guardia; tutti collaborano sinnergicamente nell’arco delle 24 ore garantendo così una forte continuità al gruppo dei pazienti.
Quotidianamente, il gruppo di lavoro si riunisce per determinare le linee guide da tenere nei confronti dei residenti, per organizzare le sessioni gruppali, per elaborare situazioni di crisi e per la gestione della struttura.
Il gruppo di supervisione settimanale prevede la presenza di tutti in modo da poter aggregare tutte le informazioni, indagare il controtransfert e pervenire, tramite l’integrazione delle parti depositate in ognuno dal paziente, alle varie fasi del progetto terapeutico.
Sia il responsabile della residenza che la psicologa a cui fanno capo le famiglie, godono di una supervisione continuativa.

4. Il modello dialettico comportamentale.

Il modello scientifico a cui si ispira il trattamento quotidiano nella Comunità di Vinago fa riferimento alla terapia dialettico-comportamentale (DBT) per soggetti affetti da disturbi di personalità messo a punto dalla Dr.ssa Marsha M. Linehan dell’Università di Washington (Skills Training Manual for Treating Borderline Personality Disorder. The Guildford press. New York- London).Questo modello sistematizza, avvalendosi di strumenti didattici, l’approccio cognitivista dividendo in “moduli” gli argomenti trattati che sono: il pensiero, le emozioni, la tolleranza allo stress, le relazioni interpersonali.
Si descrive una sintesi del metodo.

Procedure dialettico-comportamentali

  1. Il compito quotidiano dei residenti riguarda l’individuazione delle trappole cognitive (distorsioni della realtà).
  2. Compito degli Staff è guidare i residenti nella individuazione di queste trappole mediante :
    • Seminarididattici
    • interventi coerenti al punto 1 in presenza di crisi o difficoltà

    Nota: il prerequisito per l’azione 1 e 2 è data dal teorema che prevede l’assunzione del sospetto che in presenza di forti emozioni è necessario sospendere il giudizio e procrastinare ogni azione (step-back).
    Inclusi in questo concetto sono la repressione e la storicizzazione del giudizio su ciò che accade; per esempio, in presenza d’ impulsi a compiere azioni capaci di produrre conseguenze importanti, bisognerebbe reprimere sino al giorno dopo la valutazione dei fatti che produssero l’impulso.

  3. Studieremo quindi le emozioni con lo scopo di individuarle e nominarle e quindi valutarne l’intensità.
  4. Il modello principale di crisi dentro quest’ istituzione, riguarda l’incapacità d’effettuare lo step-back. che si può tradurre come incapacità al contenimento e sospensione della reazione.
  5. Il piano di trattamento prescrive,d’accordo con il paziente, il percorso con una progressione di ostacoli crescenti con i quali dovrà cimentarsi.
L’approccio cognitivo comportamentale nella struttura giornaliera di Vinago.

Nel tentativo d’integrare gli strumenti già esistenti a quelli propriamente dialettico- comportamentali della DBT, abbiamo suddiviso il “gruppo moduli” in quattro momenti specifici, ognuno dei quali sarà finalizzato al raggiungimento delle relative “capacità” inerenti all’argomento trattato.

  1. Il Seminario didattico: gruppo settimanale in cui s’affrontano i temi riguardanti i vari moduli (il pensiero, le emozioni……..). E’ il momento dell’apprendimento e dell’ascolto.
  2. Il gruppo del mattino: giornalmente questo gruppo guida i residenti verso il riconoscimento dei propri “patterns”, ovvero quelle strategie disfunzionali e ripetitive che si attuano a fronte di un problema. Per far ciò, si devono utilizzare le osservazioni (comunicazioni reciproche fatte in funzione dell’auto-osservazione comportamentale tra i pazienti) mediante le quali si potrà risalire al pattern.
  3. Il gruppo dei piani di trattamento: gruppo settimanale che determina il timing e la progressione all’interno della terapia. Ogni residente deve comporre un proprio piano di trattamento basato su uno, due o tre patterns e sulle relative strategie di fronteggiamento (skills). Ogni pdt ha durata di un mese al termine del quale verrà effettuata da parte del gruppo una verifica e una conseguente riformulazione del pdt.
  4. Il Gruppo emozionale : settimanalmente il gruppo affronterà le tematiche relative al mondo delle emozioni, al loro riconoscimento e alla loro espressione così come vengono esperite nel corso della setimana dagli stessi pazienti.
La DBT utilizza specifici materiali didattici in forma di schede e diari che dovranno essere utilizzati quotidianamente dai residenti e rielaborati mediante l’utilizzo dei quattro diversi momenti terapeutici o mediante un colloquio con il gruppo dello Staff.

Modulo sulla gestione del pensiero
(Imparare ad avere il controllo della mente invece che lasciare che la mente ci controlli)

  • Pensiero razionale: è il pensiero che pianifica, è la parte “fredda”.
  • Pensiero emotivo: le emozioni hanno il controllo e influenzano i comportamenti.
  • Pensieroequilibrato:èun’integrazionedeidue,cipermettedisperimentarelarealtà. – Strategia: uso della tecnica confrontativa per smascherare le trappole.

2. Capacità “che cosa”:

  • Osservare: è notare fatti, pensieri, emozioni. Non c’è azione. – Strategia: effettuare lo step-back.
  • Descrivere:usareleparolepercomunicareciòchesiosserva. – Strategia: distinzione tra pensieri e fatti.
  • Partecipare: entrare interamente in un’attività.

3. Capacità “come”:

  • Senza giudizio: l’obbiettivo è raggiungere una posizione obbiettiva. Bisogna calcolare le conseguenze. Un giudizio può trasformarsi in trappola nel momento in cui lo facciamo diventare un fatto. Una posizione giudicante determina un vissuto d’impotenza invece che un’assunzione di responsabilità.
  • Una cosa alla volta: il goal è quello di concentrarsi su di una cosa alla volta con pienezza e consapevolezza.
  • Efficacia: il goal è fare ciò che funziona non ciò che giudichiamo giusto o sbagliato. Bisogna determinare l’obbiettivo conoscendo la situazione attuale e quindi perseguirlo. Bisogna saper stare alle regole.

Modulo sulla regolazione delle emozioni

1. Obbiettivi del modulo sulle emozioni:

  • Capire le proprie emozioni imparando a identificarle riducendo le emozioni negative analizzandone le funzioni (usare le capacità sul pensiero “osservare e descrivere”)
  • Ridurre la vulnerabilità emotiva riconoscendo il pensiero emotivo e privilegiando le emozioni positive. Non cercare di soffocare la sofferenza. Modulare l’emozioni negative agendo in modo opposto (act as if).
  • Descrivere le emozioni: le emozioni possono essere utili o dannose, raramente neutre. Il goal è di ridurre la sofferenza e non di sopprimere le emozioni. Spesso si reagisce alle emozioni negative con emozioni “secondarie” di colpa, vergogna, rabbia; queste confondono lo scenario e rendono difficile l’identificazione delle emozioni “primarie”.
  • I miti sulle emozioni: i residenti “sfidano” i pregiudizi che riguardano l’area emotiva.

2. Teoria sulle emozioni:

  • Le emozioni di base sono otto: rabbia, dispiacere, gioia, sorpresa, paura, disgusto, colpa/vergogna, interesse.
  • Le emozioni sono “patterns reattivi ad eventi” e sono informazioni complesse.
  • Le emozioni vanno e vengono, durano da alcuni secondi a pochi minuti.
  • Quando un’emozione parte, continua a ripartire da sola autoperpetuandosi e determinando “l’umore”.

3. Descrivere le emozioni:

  • Uso della scheda per la descrizione delle emozioni: finalizzata a determinare l’evento iniziale, la sua interpretazione, la funzione dell’emozione, i cambiamenti corporei.
  • Per regolare le emozioni si devono percepire le sensazioni del corpo e i suoi cambiamenti.
  • Le emozioni implicano “l’urgenza ad agire”; questo presuppone la capacità di effettuare lo step back come modalità di fronteggiamento della crisi.

4. Esprimere le emozioni:

  • Una delle principali funzioni delle emozioni riguarda la comunicazione per mezzo del linguaggio del corpo, delle parole, delle azioni.
  • La capacità di nominare le emozioni ci mette in grado di regolarle.

5. Cosa c’è di buono nelle emozioni:

  • Uso della scheda-diario emozionale, finalizzata al monitoraggio delle emozioni significative vissute giornalmente.
  • I comportamenti emotivi sono necessari per la sopravvivenza.
  • Le emozioni “motivano” i comportamenti.
  • Le persone spesso agiscono adattativamente seguendo le informazioni fornitegli dalle emozioni.
  • Le emozioni servono per comunicare con noi stessi.
  • Talvolta le emozioni sono dei segnali d’allarme.

6. Ridurre la vulnerabilità rispetto alle emozioni negative (stare fuori dal pensiero emotivo):

  • Uso della scheda che illustra i passi per ridurre le emozioni dolorose
  • Trattareimalesserifisici.
  • Alimentazioneequilibrata.
  • Evitare sostanze che alterano l’umore.
  • Sonno bilanciato.
  • Esercizio fisico.
  • Costruire la “padronanza di sé”(fare cose che fanno sentire competenti, capaci di dominare gli eventi).

7. Come incrementare le emozioni positive:

  • Uso della scheda per incrementare le emozioni positive.
  • Costruire esperienze positive
  • Quando sentiamo emozioni negative, tentiamo di distorcerle così da determinare una “utilità secondaria”, questo però invalida ancora di più. Il goal è convalidare le risposte emotive.
  • Incrementare le attività piacevoli nel breve periodo (seguire le proposte nella scheda), cose piccole e piacevoli.
  • Nel lungo periodo effettuare cambiamenti nello stile di vita che comporti eventi positivi (fare la lista).
  • Incrementare nuove relazioni.
  • Non evitare.
  • Concentrarsi sulle esperienze positive.
  • Non concentrarsi sulle paure.
  • Concentrarsi sulle emozioni correnti, osservarle e descriverle come sono lasciando uscire la sofferenza dopo aver effettuato lo step back.
  • Non bloccare, giudicare, amplificare le emozioni ma accettarle

8. Cambiare le emozioni (agendo in modo opposto, act as if):

  • Paura: affronta l’evento.
  • Colpa – vergogna: continua a fare ciò che ti fa sentire in colpa.
  • Tristezza – depressione: attivati, non essere passivo.
  • Rabbia: fai cose carine invece che aggressive.
  • L’idea è di agire in modo opposto rispetto all’emozione negativa ma non mascherarla.
5. L’intervento sulla famiglia.

Valutando il ruolo tutt’altro che marginale svolto dai membri della famiglia sulla patologia dei singoli e la relazione di dipendenza che caratterizza le famiglie considerate, si istituiscono gruppi familiari parallelamente al trattamento residenziale dei pazienti.
Scandito da sessioni quindicinali della durata di un’ora e mezza ciascuna, condotto da due operatrici con la supervisione di una psicoanalista, il gruppo delle famiglie dei pazienti si configura come un lavoro orientato alla formazione dei familiari, ovvero alla modificazione dei comportamenti inadeguati e all’incremento dei comportamenti ritenuti idonei attraverso l’uso del rinforzo.
Inoltre si propone di rendere attivo il ruolo della famiglia nel processo terapeutico, si cerca di costruire un’alleanza tra la famiglia e i curanti evitando che si formi il fantasma di colpa ed esclusione sempre attivo come peraltro la tendenza alla delega totale anche se segretamente ostile, fornendo informazioni e commenti relativi agli incontri con i pazienti e valorizzando il punto di vista della famiglia sull’andamento della terapia.
La conduzione si avvale di una tecnica semidirettiva e delle dinamiche interpersonali di gruppo allo scopo di favorire anche l’emergere spontaneo del vissuto legato ai diversi modelli di comportamento dei familiari.
La rielaborazione del vissuto dei familiari favorisce lo smascheramento della relazione di dipendenza reciproca e, nel corso del trattamento, segnala tappe del processo di separazione necessario al buon esito della terapia.

6. Il trattamento farmacologico.

Vengono utilizzati prevalentemente farmaci che agiscono sul controllo degli impulsi ( Tegretol, Litio, antidepressivi proserotoninergici ).

7. Ruolo della Psicoanalista

L’inserimento nella Comunità di Vinago della psicoanalista è stato contemporaneo alla apertura della Comunità.
I compiti della psicoanalista ,all’interno della Comunità, consistono nel collaborare con I’ equipe nella messa a punto della diagnosi e coseguente progetto terapeutico, tenere il Contatto con gli psicoanalisti o gli psicoterapeuti che hanno gia in trattamento i pazienti in Comunità o che iniziano un trattamento, avere incontri con le famiglie di gruppo, od individuali quando necessario, mantenendo con le due psicologhe che hanno con le famiglie un contatto più stretto, un ruolo di sostegno e supervisione.
Il gruppo di operatori inseriti nella Comunità ha in gran parte una formazione psicoanalitica ed ha fatto od ha in corso un’analisi o un intervento psicoterapico, questo ha costituito un fondo comune, che ha facilitato la comunicazione nel gruppo dl lavoro.
Senza dubbio inoltre il progetto e stato facilitato da una lunga condivisione con Furio Ravera e con Roberto Bertolli, di un gruppo di studio e di ricerca nel quale, oltre che per formazlone analitica si e accomunati dall’ interesse per ciò che attualmente la psichiatria psicoanalitica mette in campo sul tema dei disturbi di personalità. Condividiamo la convinzione che lo psicoanalista non solo possa portare il suo assetto mentale anche fuori del suo studio ma anche che debba, se interessato alla patologia grave, usare modelli diversi, integrare il proprio assetto mentale con altri modi ed altre competenze, essere capace di alleanze in favore
di ciò che è il bisogno terapeutico del paziente.
Se da una parte sembra ormai accettato, all’ interno almeno di quella parte della psicoanalisi che è interessata alla comprensione delle patologie gravi, che sia necessario utilizzare piu di un modello, non sembra ancora acquisita la possibilità di trovare un punto di convergenza ed una integrazione fra il modello psicoanalitico e altri ad esso limitrofi quale il modello, non sembra ancora acquisita la possibilità di trovare un punto di convergenza ed una integrazione fra il modello psicoanalitico e altri ad esso limitrofi quale il modello cognitivo che sembra essere piu utilizzato in alternativa che integrato con un intervento psicodinamico.
L’interesse clinico di questo progetto è anche legato ad approfondire e verificare quanto questa integrazione sia possibile, come poterla attuare, quali siano eventualmente i punti di divergenza, e come si possa usare il modello cognitivo come alleato e sostegno alla cura di pazienti gravi senza che ciò sia in contrasto con un assetto mentale psicoanalitico.
Nella Comunità la conduzione quotidiana offre al paziente un sistema di regole chiare, che diventa il contenitore stabile per l’osservazione del paziente che entra in Comunità con un contratto condiviso di rimanere circa tre mesi per che sia possibile un approfondimento clinico.
Al suo arrivo viene appoggiato ad un residente anziano che lo aiuta nella comprensione delle norme quotidiane.
Il colloquio individuale con la psicoanalista avviene dopo l’entrata in Comunità .
Ci si e posti il problema di come impostare gli incontri che non si voleva diventassero troppo investiti transferalmente dai pazienti o che si creassero di fatto delle relazioni psicoterapiche che avrebbero messo in campo delle tensioni tra i pazienti, difficili poi sia da comprendere che contenere e riconoscere.
Il riferimento è il modello di osservazione diagnostica prolungata con restituzione dei dati dell’osservazione in un lavoro terapeutico combinato con l’approfondimento diagnostico e che permette di valutare le possibilità di individuazione ed emancipazione del pazlente ed anche verificare se vi è l’indicazione per un trattamento esterno.
L’accorgimento dei colloqui non frequenti e su richiesta al momento sembra aver fatto argine ad un problema che certo non sottovaluto e che rimane sullo sfondo poichè spesso i residenti stanno a lungo in Comunità e si strutturano inevitabilmente delle relazioni transferali intense.
Il successivo problema affrontato è stato di inserire questa figura esterna all’interno dell’articolata organizzazione quotidiana della comunità, in modo tale da conservare la specificità dell’intervento senza tuttavia produrre fratture rispetto all’andamento cognitivo comportamentale della comunità, fortemente qualificata da un’organizzazione gruppale.
Per questo è sembrato utile che anche la psicoanalista tenesse un gruppo per poter direttarnente sperimentare le dinamiche relazionali in corso tra i pazienti, gli operatori ed ella stessa, ed evitare il formarsi di un modello relazionale fondato esclusivamente su incontri individuali, quindi troppo “segreti” e “separati” dal resto della vita residenziale, che si sarebbero caricati di insidiosi sentimenti di esclusione e mistero .
Inoltre questo ha permesso l’osservazione settimanale di tutti i pazienti invece che solo di una parte di essi..
Dopo un anno si può dire che l’esperienza del gruppo è stata estremamente utile non solo come fonte ricchissima di osservazioni cliniche, ma anche per creare un “campo comune” tra “I’esterno” per eccellenza ( la psicoanalista) e gli operatori, i quali hanno partecipato a seconda dei turni al gruppo.
Questo ha permesso la fruizione di un linguaggio comune, specifico a quella situazione, che ha reso possibile una continuità, nello scambio settimanale di notizie, facile e familiare.
L’ altro problema che si è dovuto affrontare è stato di decidere come impostarlo poichè non si voleva fosse un gruppo di terapia in quanto non sarebbe stato possibile avere un setting adeguato per la frequente migrazione di pazienti ed anche perchè non tutti i pazienti sarebbero stati adatti a quel tipo di trattamento..
Condividiamo quanto dice Racamier sul fatto che a volte i pazienti vengono iniziati ad un trattamento psicoterapico non perchè ve ne sia una vera indicazione clinica ,ma perchè “almeno” c’è qualcuno che si occupa psicologicamente di loro; il nostro progetto cerca appunto di creare le condlzioni per cui il paziente inserito nella Comunità possa essere sostenuto da una serie di operatori e trattamenti che permettano un rafforzamento dell’identita e delle difese adeguate, creando al contempo le condizioni per cui sia possibile un’osservazione psicodinamica prolungata che permetta il formarsi di un progetto “su misura” delle possibilità e bisogni complessivi di quel singolo individuo/paziente.
Ci si è cosi richiamati ai gruppi Balint con interventi di chiarificazione dei movlmenti affettivi in corso nel gruppo o nel singolo senza tuttavia utilizzare interpretazioni di transfert.
E’ stato fissato un tema, sia pur molto libero: parlare di un evento accaduto durante la settimana, tempo che scandisce il periodo tra una seduta di gruppo e l’altra; I’evento può essere un evento interno od esterno sia personale che riferito ad altro da sé.
Il gruppo, che dura circa sessanta minuti, è aperto ai nuovi residenti e non è obbligatorio; nell’ esperienza fatta fino ad oggi la partecipazione al gruppo è molto alta e ha assunto una collocazione all’ interno della comunità senza fratture con gli altri momenti gruppali, ma con una sua identità differenziata.
Il gruppo indubbiamente ha costituito una facilitazione nel trovare una equilibrata posisizione tra “esterno-interno”: una distanza misurata che ha permesso alla terapeuta al contempo di mantenere una posizione “esterna” alle trattative quotidiane senza però trovarsi ad una distanza troppo grande che avrebbe reso impossibile una osservazione empaticamente partecipe alla vita della Comunità.
Il gruppo ha reso possibile anche alla psicoanalista di avere un luogo di osservazione privilegiato e diretto “dell’organismo Comunità” spartendo con gli altri operatori le proiezioni, le contro identifiicazioni e 1’onda transferale come “campo comune” per la comprensione e messa a punto del progetto individuale di ogni paziente e confrontarne i mutamenti.
E’ stato anche il luogo d’elezione per verificare la possibile compatibilità od incompatibilità tra intervento cognitivo e intervento psicoanalitico.
Negli altri gruppi che si svolgono giornalmente l’individuo e sollecitato ad assumere una consapevolezza razionale delle proprie emozioni e reazioni frequentemente inadeguate o/e distruttive o /e contraddittorie ed invitato ed aiutato a riorganizzarsi secondo nuove modalità apprese piu adeguate e corrette. Anche se il clima affettivo in cui l’apprendimento cognitivo avviene è rispettoso e consapevole delle inevitabili resistenze al cambiamento il rischio che il paziente si senta sollecitato ed investito di una richiesta di attuare un’immediata trasformazione del proprio assetto emotivo esiste.
Ciò è il punto “teorico/tecnico” più distante tra psicoanalisi e cognitivismo: è noto che la psicoanalisi classica, secondo l’insegnamento di Freud ,evita di restituire al paziente troppi strumenti razionali perchè suppone che saranno le forze ostili al cambiameto a farne uso in modo perlopiù inconscio e incontrollato. Proprio per questo ha disposto un setting che permetta l’insight del paziente senza una attiva partecipazione razionale che altrimenti si pensa accentuerebbe le resistenze al cambiamento.
Molte cose sono nel frattempo cambiate nella psicoanalisi i cui confini d’intervento si sono allargati dal trattamento delle nevrosi a quello del1e psicosi; ciò ha mutato di molto la teoria e la tecnica.
La psichiatria psicoanalitica, per occuparsi di queste gravi patologie, ha dovuto attrezzarsi di competenze particolari in due aree differenti ma entrambe necessarie. Da una parte ha sviluppato una crescente capacità analitica di raggiungere aree mentali arcaiche e disorganizzate in una ipotesi non solo di trasformazione attraverso le vicende transferali di ciò che è avvenuto nel passato del paziente, ma anche di costruire qualcosa là dove è da sempre mancato.
D’altra parte ha approfondito la ricerca sulle strutture di personalità,consapevole della pericolosità potenziale insito in un intervento di tipo analitico, della responsabilità nei confronti del dolore mentale che può procurare, ha constatato la necessità di un lavoro di gruppo, con figure integrate ma differenziate, e il riconoscimento dell’utilita non solo di modelli psicoanalitici diversi fra loro,ma anche di tecniche d’intervento differenti.
Queste consapevolezze e gli esiti delle ricerche cliniche hanno incoraggiato il tentativo di preparare il paziente troppo fragile con interventi di sostegno ad un successivo eventuale intervento psicoterapico o psicoanalitico.
Sono note le ricerche anche in questa direzione di Otto Kernberg e coll.

8. La riunione dello staff

La riunione dello staff al completo che avviene ogni quindici giorni è l’ occasione di confronto tra i diversi punti di osservazione e dove si costruiscono le ipotesi di intervento.
Il gruppo che si forma ricostituisce le parti sfaccettate del paziente della sua famiglia.
Per descrivere i compiti che il gruppo di lavoro così formato si trova ad affrontare farò riferimento ad una tabella presentata da R. Waldinger in occasione di un Convegno organizzato a Milano da CREST e SDP.
L’autore in quella occasione presentò questa tabella indicandola come una lista di previsioni fondamentali che la diagnosi psico dinamica di personalità borderline permette di formulare:

  1. il paziente presenterà instabili e contradditorie rappresentazioni di sè e degli altri
  2. il paziente genererà rappresentazioni contradditorie di sè e degli altri nel terapeuta
  3. il paziente genererà rappresentazioni diverse di sè in persone diverse
  4. il paziente presenterà oscillazioni nel suo funzionamento nel corso della sua giornata
  5. il paziente presenterà bassi livelli di tollerabilità dell” angoscia e facilmente scivolerà verso una regressione
  6. il paziente risponderà positivamente a situazioni strutturate e risponderà negativamente a situazioni non strutturate
  7. il terapeuta ed il paziente tenderanno alla confusione dei confini (con seri rischi di violare la relazione terapeutica).

Impiegando il termine “previsione” per indicare ciascuno di questi 7 punti Waldinger, in qualche modo, (indicato anche dall’uso dei verbi al futuro) segnala l’inaffidabilità di ciò a cui si assiste nel presente, dunque richiama la nostra attenzione sulla continuità della osservazione e sull’accoglimento delle differenze, delle contradditorietà.
I primi 4 punti finiscono così per indicare un compito specifico al gruppo, quello di confrontare quanto si è osservato con quanto è stato osservato e vissuto da altri.
Fin qui il discorso risulterebbe semplice ed in fondo ovvio e banale.
Normalmente le riunioni cliniche si basano sul contributo delle varie osservazioni fatte dai vari membri dell’equipe.
Ciò che rende diverso e peculiare questo tipo di lavoro è il funzionamento del paziente.
Mi riferisco al prevalente impiego, da parte di questi pazienti, di meccanismi di difesa primitivi (scissione, in primo luogo,identificazione proiettiva, negazione, minimizzazione, idealizzazione, svalutazione.) che sono alla base di una imponente modificazione inconscia della rappresentazione di sè e degli oggetti.
Semplificando, il paziente tenderà a costruirsi rappresentazioni tutte bianche o tutte nere, di sè e delle persone con cui è in contatto sulla base delle emozioni dominanti in quel momento.
Il paziente in uno di questi momenti sembra incapace di riconoscere, di ricordare che le cose in un altro momento funzionarono diversamente, che quella data persona, l’interlocutore stesso, non era giudicato così arido e ostile (o l’opposto).
All’interno di questo scenario, organizzerà le sue azioni che potremmo definire “buone solo per quel momento”.
Sarebbero buone infatti se la realtà che il paziente si rappresesenta fosse quella e soltanto quella e non quella che risulta da ciò che era magari soltanto un’ora prima o ciò che sarà un’ora dopo. Si stà parlando naturalmente di una rappresentazione integrata della realtà in cui gli aspetti spiacevoli e gli aspetti ostili sono temperati da aspetti più gradevoli e da aspetti più amorevoli. Si comprende allora come il gruppo di lavoro, meglio dire, i singoli componenti del gruppo di lavoro siano sottoposti ad una situazione relazionale molto difficile con il paziente.
L’operatore può tentare di risolvere le difficoltà che si sono generate nella relazione con il paziente attraverso un allontanamento emotivo, una sorta di rinuncia di fatto alla relazione, al solo scopo di sopravvivere, di finire il suo turno con minori danni possibili, rappresentandosi inutile per il paziente con tutte le sequele, facilmente immaginabili, allorchè un soggetto si trovi a vivere un ruolo reputato inutile.
Altra possibilità, in fondo più dinamica ed utile se ben gestita, è la collusione con i processi di scissione del paziente (comprende i punti 2 e 3).
E’ come se l’operatore si convincesse che ciò che vede è la vera verità e tale collusione può prendere la via di considerare “buono” il paziente contro l’ostilità degli altri (che divengono sempre più ostili in quanto oggetti di ostilità scissa e proiettata dal paziente in collusione con l’operatore).
Nel caso opposto l’operatore si identifica inconsciamente con le parti ostili che il paziente trovando intollerabili in sè scinde e proietta nell’operatore.
Accade così che l’operatore si convince che il paziente è “cattivo” e che sulla spinta di tale convincimento si scontri con altri colleghi di opinione diversa.
In altri casi l’aggresività del paziente viene assorbita in forma di sottomissione masochistica con la possibilità che venga indotta una forma sottile ed insidiosa di acting-out controtransferale che consiste nell’indurre il paziente ad abbandonare la terapia per la sensazione di inutilità generata nel paziente dalla sotto missione masochistica.
Come se il paziente si trovasse in un deserto, da solo con la propria aggressività che avanza senza trovare ostacoli.
Si comprende, al punto in cui siamo giunti del nostro commento,come l’operatore si trovi a muoversi entro uno stretto sentiero, da un lato la fuga, l’indifferenza, l’inutilità del suo proprio male, dall’altro la perdita dell’orientamento, l’assorbimento della stessa disfunzione (nota bene disfunzione) dell’esame di realtà di cui è vittima il paziente (la causa dell’impiego di difese primitive).
Realisticamente, accade che un operatore in tempi diversi si trovi a fare oscillazioni da un lato o dall’altro di questo sentiero ed è solo la consapevolezza della possibilità che ciò avvenga che può trasformare il vissuto dell’operatore in contributo clinico.
Riprenderò questo punto nelle riflessioni conclusive.
Continuando il nostro approfondimento il punto 4 ci indica una possibile fonte di frustrazione del lavoro degli operatori qualora non si tenga conto della oscillazione nelle performance di questi pazienti che ancora può tradursi in sentimenti di inutilità e riprodurre per questa via altre occasioni di allontanamento emotivo espresso come caduta di ipegno nella ricerca di programmi e risorse – tanto tutto è inutile.
Il tipo di sofferenza di questi pazienti impone uno stile cognitivo “forte” in chi opera con loro, una forte fiducia e una forte capacità di valorizzazione di ogni risorsa – senza farsi demoralizzare dalle oscillazioni negative del funzionamento del paziente.
Il punto 5 merita una precisazione circa un tipo frequente di regressione in questi pazienti allorchè si trovino a sperimentare angoscia e dolore nella relazione. Mi riferisco alla regressione di tipo paranoide.
Per gradi diversi di intensità l’abbiamo visto comparire nella maggioranza dei nostri pazienti e caratterizzarsi per intensa ostilità e polarizzazione di tutte le rappresentazioni della esperienza terapeutica su questa.
Non infrequentemente tale situazione è causa di abbandono della terapia.
Spesso è la previsione o la paura di una eventualità del genere che blocca le relazioni con un certo paziente in una sorta di pseudo-cordialità terapeuticamente inutile ed illusoria come strategia “per tenere le cose sotto controllo” giacchè sottilmente ed inesorabilmente saranno sempre più dilatate le aree di compromesso in cui il paziente ingaggerà gli operatori in virtù di questa relazione pseudo-cordiale.
Il gruppo dei pazienti, se ben guidato dagli operatori addestrati a tollerare le ostilità del paziente, può risolvere la regressione paranoide facendo comprendere al paziente che ciò che in quel momento lo fa soffrire, e che perciò gli sembra un attacco, è in realtà ciò di cui ha bisogno per stare meglio, per essere aiutato.
E’ facilmente comprensibile in tale circostanza il sovraccarico controtransferale dell’equipe e la necessità di una lettura psicodinamica accurata della situazione per consentire una “familiarizzazione” con una reazione oscura ed ostile del paziente e fornendo buoni motivi per mantenere la relazione nell’ambito del confronto e quindi della possibilità di aiuto al paziente. Riservandomi di trattare il penultimo punto nelle conclusioni passo al 7 punto relativo alla relazione dei limiti nella terapia.
Il rischio è molto elevato nelle C.T. per il tempo che gli operatori passano con i pazienti per l’intensità dei rapporti,la vicinanza, l’inevitabile confidenza che contribuisce a rendere confusi i confini.
Rimanendo ad un livello generale di trattazione possiamo anche dire che questo rischio riguarda i pazienti in misura diversa (pur essendo necessario mantenere una attenzione costante). Taluni pazienti presentano rischi maggiori. Faccio riferimento a disturbi di personalità di tipo infantile, di tipo isteroide sostenute da una organizzaziobe B.L. di personalità, nonchè a forme narcisistiche e antisociali e situazioni in cui anamnesticamente siano stati accertati incesti ed abusi sessuali.
Quotidianamente il gruppo degli operatori, i vari membri dello staff, passano attraverso le vicende fin qui per sommi capi riassunte.
Al momento di dar vita a questa iniziativa ci siamo dati alcuni strumenti “per non perderci”.
Uno strumento forte è quello citato al punto 6, vale a dire un ambiente di vita strutturato in norme precise, facilmente riconoscibili che insieme alla risposta positiva del paziente possa generare una condizione di base di rapporti fra pari, favorendo lo sviluppo di meccanismi di identificazione.
Al di là di ciò che può l’ambiente, l’operatore, il terapeuta resta solo con i suoi sentimenti, le sue incertezze, le sue oscillazioni verso il bisogno di certezze e la disciplina a rinunciarvi. Nasce così l’incontro dello staff. Si verifica tutti i giorni. Settimanalmente in sessione plenaria.
Lo considererei un momento di verifica collettiva di tutte le possibili deviazioni dovute ad una visione inevitabilmente personale delle cose, all’essere in quella situazione in quel determinato momento con quel preciso personale antefatto emotivo.
La discussione dela caso clinico allora avviene come per esami di calchi, di impronte, di variazioni di orbite.
Qui nasce la forza terapeutica dell’equipe che per funzionare deve liberarsi in quel momento, quello della rappresentazione del caso clinico, della gerarchia e dell’imbarazzo, andare oltre la vergogna del proprio difetto nell’operare per creare le condizioni di una vera supervisione quello che si svolge fra persone che si stimano e che non sono in competizione.
Il disagio di un operatore, la sua antipatia o la sua indulgenza acritica per un dato paziente sono, come dicevo, il calco che ci da la forma dell’oggetto che andiamo studiando, è la variazione di orbita di un pianeta che ci indica l’esistenza di un corpo celeste a noi invisibile.
La programmazione, il giudizio clinico impongono di volta in volta che si proceda a questa accordatura.
Una volta soddisfatta questa condizione i criteri di ipotesi di intervento potranno applicarsi ad un oggetto un po’ più realisticamente rappresentato o comunque su una rappresentazione sufficientemente condivisa tale da dare un senso allo sforzo di ognuno.
E’ esperienza comune ormai, dopo molti anni di lavoro in equipe che una volta bonificate le “utili” distorsioni dei membri dell’equipe sia più facile dare un senso a certe reazioni del paziente a certe reazioni dei familiari riscoprendo nelle relazioni che i pazienti avevano costituito entro la C.T., con tutti i membri operatori compresi, i fantasmi transferali e controtransferali che monotonamente evocano e da cui infine sono dominati ritrovando i nessi nel presente.
Ma per trovare nessi nascosti è necessario rinunciare alle nostre certezze, coltivare il sospetto, ovvero l’insaturo,il non sapere,essere capaci di ascoltare il paziente e cogliere il suo idioma segreto come dice Bollas ,o come, raccomanda Winnicott, di fare festa all’apparire dell’incerto vero sé.
E’in questa molteplice narrazione dell’altro che la psicoanalisi svolge il suo grande ruolo ed è attraverso le parole di Hilmann che mi piace descrivere lo sforzo dello psicoanalista nel suo studio o all’interno di una equipe:
”Siamo sempre prigionieri della nostra personale visione delle cose: Inoltre la nostra vocazione professionale poggia sull’abilità paranoide di scoprire gli indizi, di sospettare, di interpretare, di cogliere misteriosi nessi fra gli eventi.
Dobbiamo “vedere in trasparenza”, vedere i significati che si celano oltre lo schermo delle apparenze e ascoltare con un terzo orecchio.
Dobbiamo percepire nell’altro ciò di cui l’altro nega l’esistenza…… Ogni volta che rendiamo aperto un significato apriamo la porta al potenziale paranoide”.
In sintesi si può dire che l’esperienza di integrazione tra operatori appare ben riuscita così come sembra ci sia una stabile convergenza diagnostica quale emerge dal confronto fra i test somministrati e i colloqui clinici successivi; l’esperienza è troppo recente ,invece, perché si possa dare risposta ad alcuni punti di interesse clinico quali:

  • verificare come sia possibile e veramente utilizzabile l’integrazione tra un intervento cognitivo ed uno psicoanalitico.
  • Ruolo della C.T nella fase di uscita e successivamente.

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Nota: James HILLMANN – “La vana fuga dagli dei” – 1991 Ed. Adelphi

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