Disturbi di personalità e tossicomania -(1)-

Furio Ravera, Roberto Bertolli, Antonella Spagnuolo, Fabio Madeddu, Fabio Rancati.

Il titolo del tema trattato necessita di una precisazione. Ci troviamo di fronte alla enunciazione di un nesso, fra disturbi di personalità e tossicomania, che è opportuno a nostro parere considerare giustificato solo dall’intenzione di farne uso come ipotesi di lavoro.
In questo modo viene introdotto in questo titolo un carattere di provvisorietà che richiama costantemente a un compito di verifica.
Questo lavoro nasce quindi con lo spirito di esplorare alcuni aspetti che possono giustificare l’esistenza di questo nesso.
Negli ultimi anni sono stati pubblicati lavori che forniscono dati suggestivi.
Clerici, et al. (1992) hanno compiuto uno studio su 606 pazienti afferiti ad un servizio specifico per i tossicomani.
Ne é scaturito il seguente risultato: il 55,8% presenta un disturbo appartenente all’asse II, il 26,4% diagnosi nell’asse I, il 17,8% nessuna diagnosi psichiatrica.
In un altro lavoro Kosten e Kleber (1982), della Yale University, riferiscono i dati ottenuti su un campione di pazienti tossicomani, che ha dato come risultato il 68% di disturbi di personalità di cui 14% venivano classificati come pazienti Borderline, il 10% Narcisisti,il 55% Antisociali, l’ 8%i altri.
Ancora in un altro studio su pazienti tossicomani Kolbes IM-Clerici et al., op. cit.) segnala sul suo campione il 51% di disturbi di personalità ai quali dovrebbe essere aggiunto un altro 22% di pazienti che secondo Kosten presentavano aspetti tali da essere inclusi nella diagnosi di disturbo di personalità.
Infine Lexinton (M.Clerici et al., op. cit.) ha presentato tre studi diversi su pazienti tossicomani che hanno dato percentuali rispettive del 77%, 88%, 90%, di disturbi di personalità nei campioni esaminati.
Recentemente abbiamo compiuto una ricerca su un campione di 78 pazienti tossicomani trattati all’interno della nostra Istituzione (CREST – Centro Medico per i disturbi di personalità e tossicomania – Milano -) somministrando ad essi il PDQ (Parsonality Disorder Questionnaire).
Si tratta di un questionario autosomministrato ideato per formulare la diagnosi di disturbo di personalità secondo i criteri del DSM III.

I risultati ottenuti sono riassunti nella Tab. I:

Tab. I:

[column col=”1/3″]Disturbo PARANOIDE
Disturbo SCHIZOIDE
Disturbo SCHIZOTIPICO
Disturbo ANTISOCIALE
Disturbo BORDERLINE
Disturbo ISTRIONICO
Disturbo NARCISISTICO
Disturbo di EVITAMENTO
Disturbo DIPENDENTE
Disturbo OSSESSIVO-COMPULSIVO
Disturbo PASSIVO-AGGRESSIVO
Disturbo AUTOFRUSTRANTE
Disturbo SADICO[/column]
[column col=”1/4″]80.8%
24.4%
64.1%
69.2%
74.4%
83.3%
79.5%
64.1%
60.3%
41.0%
56.4%
47.4%
30.8%[/column][space height=”20″]

Esaminando i dati fin qui citati si possono fare in primo luogo due osservazioni.
I lavori che abbiamo esaminato confermano una certa concordanza nel reperimento di disturbi di personalità noi pazienti tossicomani.
In riferimento al lavoro da noi presentato ogni paziente esaminato é risultato portatore di più di un disturbo di personalità. Relativamente a questa seconda osservazione due recenti studi possono fornire un ulteriore commento. Hyler et al. l19891 hanno lavorato su un campione di 552 pazienti comparando i risultati ottenuti con la diagnosi clinica e quelli ottenuti somministrando il PDQ. 

Mentre rilevano una scarsa concordanza fra i due metodi diagnostici notano anch’essi che i pazienti esaminati con il PDQ presentavano diagnosi multiple per i disturbi di personalità in ragione dell’84% del campione testato.
Nel campione diagnosticato clinicamente la diagnosi multipla per i disturbi di personalità é risultata presente solo nel 33% dei pazienti.
Nonostante la disparità il dato non ci sembra tuttavia trascurabile.
In un altro studio recente Stangl et al. (1982), usando una intervista strutturata per la diagnosi di disturbo di personalità segnalano che il 54% dei soggetti per i quali è stata formulata una diagnosi di un disturbo di personalità ha ricevuto due o più diagnosi relative ad altri disturbi di personalità.
Naturalmente non intendiamo qui discutere i sistemi diagnostici attualmente in uso, ma ci pare opportuno riflettere su quanto fin qui riportato allo scopo di individuare, nell’esplorazione dei disturbi di personalità quelle informazioni che possono risultare utili nello studio del nesso fra essi e la tossicomania.
In quest’ottica ci sembra importante considerare il problema della diagnosi multipla per i disturbi di personalità con tutto ciò che questo aspetto implica.
Se é vero che uno dei problemi relativi all’impiego del DSM III per la diagnosi dei disturbi di personalità è una possibile artificiale comorbilità, altri lavori, come,e abbiamo visto, segnalano una significativa presenza di diagnosi multipla per i disturbi di personalità, e questa, in particolare si rivela essere un dato frequentemente confermato nei pazienti tossicomani giunti alla nostra osservazione in questi anni.
Riflettendo su questo aspetto ci sembra che esso possa essere considerato espressione di una complessa alterazione della personalità del paziente implicante l’ipotesi di un danno esteso a più di un componente della organizzazione della personalità.
A questa annotazione dovrebbe essere dato gran rilievo dal clinico che si trovasse impegnato nel trattamento di una tossicomania.
Proseguendo nella nostra riflessione ci imbattiamo in un’altra enunciazione: Clerici et al. (1991), sottolineano l’evidenza di come “l’organizzazione di mercato sia riuscita a finalizzare in senso tossicofilico individui psicologicamente precari e vulnerabili”.
I lavori sopra citati sembrano autorizzarci a pensare questa vulnerabilità o precarietà psicologica come disturbi di personalità inducendoci a ipotizzare la tossicomania come uno scompenso specifico di una patologia psichiatrica preesistente, rappresentata con maggior frequenza, appunto, da uno o più disturbi di personalità.
Prende così forma la possibilità di immaginare una chiave che ci permetta di chiarire ulteriormente il nesso fra disturbo di personalità e tossicomania: i disturbi di personalità come condizione premorbosa (in atto o in via di formazione) che permetterebbero alle spinte socio-ambientali (il mercato, la cultura di gruppo, il disagio giovanile) di finalizzare in senso tossicofilico tali soggetti.
Due autorevoli punti di vista ci possono illuminare ulteriormente in questa direzione.
In un recente seminario sui disturbi di personalità, V. Volkan (1993)( V.Volkan – Psichiatra e psicoanalista didatta al Blue Ridge Hospital – Virginia University Medical Center di Charlottesville -Virginia, direttore del Center for the Study of Mind and Human Interaction presso la stessa università), ha tracciato una definizione del concetto di personalità così concepito: la personalità può essere considerata come un contenitore che include:

  • CARATTERE – IDENTITÀ’
  • RELAZIONI OGGETTUALI
  • ESAME DI REALTÀ’
  • ELEMENTI DI TEMPO
  • EMOZIONI

Tutti questi aspetti si esprimono attraverso il

  • COMPORTAMENTO
  • PENSIERI
  • PROCESSI DECISIONALI
  • RIPETIZIONE E COMPULSIVITA’
  • DIFESE

La personalità risulterebbe essere perciò una complessa organizzazione che Volkan suggerisce di studiare a partire da due precoci funzioni dell’Io:

  1. la capacità di distinguere la rappresentazione di sé dalla rappresentazione degli altri
  2. l’integrazione delle rappresentazioni di sé e delle rappresentazioni degli oggetti, vale a dire l’integrazione di rappresentazioni buone e cattive di sé e degli oggetti.

Esemplificando per brevità tre tipi diversi di organizzazione Volkan fa notare queste diverse situazioni:

  • nella organizzazione psicotica di personalità nessuna della due funzioni é integra
  • nella organizzazione borderline di personalità la prima funzione é integra, mentre la seconda é alterata. Il soggetto non sa integrare rappresentazioni di segno opposto, di sè e degli oggetti. Ne consegue un effetto di discontinuità in varie direzioni: nel senso del tempo, nell’identità, nei processi decisionali.(Tale discontinuità é di rilievo frequente nell’indagine clinica del paziente tossicomane).
  • Infine nella organizzazione nevrotica sono integre entrambe le funzioni.

Di questa interpretazione del concetto di personalità ci sembrano altamente significativi alcuni aspetti: la sottolineatura della sua espressione attraverso il comportamento che verrebbe quindi influenzato dalla qualità della organizzazione della personalità.

(Si tenga conto a questo punto della tossicomania come comportamento).
Un altro aspetto significativo é dato dalla segnalazione dell’importanza cruciale dell’esame di realtà nello studio della organizzazione di personalità.
Su questo aspetto e sulle implicazioni relative alla tossicomania torneremo fin seguito.
Siever e Kenneth (1991) ci aiutano a fare un altro passo avanti:
” la personalità é costituita da quella distinta e persistente costellazione di comportamenti o tratti che caratterizzano il funzionamento sociale-relazionale ed occupazionale. Quando questi tratti o comportamenti o strategie sono maladattativi ciò costituisce un disturbo di personalità”.
Da questa definizione si inizia a mettere a fuoco un problema di (adattamento) strategie adattative o di FRONTEGGIAMENTO.

E’ costante il rilievo, nella raccolta accurata della storia dei nostri pazienti, di un uso di droghe a scopo adattativo.
La necessità di fronteggiare una determinata situazione (ancora non ci interessa definire se esterna od interna) ci sembra il punto cruciale di una discussione circa il rapporto fra la tossicomania ed i disturbi di personalità ed in particolare i disturbi narcisistici e borderline che, raggruppati insieme al disturbo istrionico e al disturbo antisociale, costituiscono il 50% del campione (Clerici et al.). Dal 13% al 15% sono borderline secondo le stime correnti. Tenendo conto che l’inclusione nella diagnosi B-L- risente dei diversi orientamenti diagnostici che possono, in forma semplificata, essere così riassunti:

Gunderson a il DSM III prevedono un criterio ristretto Searles, Masterson, Giovacchini e Rosenfeld prevedono un criterio ampio, Stone e Kernberg prevedono un criterio intermedio e poiché gli studi riferiti sono tendenzialmente orientati sulla diagnosi del DSM Ill – R. si può ipotizzare l’esistenza di un numero più elevato di soggetti con caratteristiche al limite.
In questa sede intendiamo fare riferimento agli studi di Kernberg 11987) e alla sua interpretazione dei disturbi di personalità e al ruolo che quest’autore attribuisce alla scissione, quindi ad una difesa, quale organizzatore della vita psichica dei soggetti borderline, Circa questo aspetto ci pare significativo il dato desunto dalla somministrazione del test di Rorschach ai pazienti tossicomani.
E’ costante il rilievo di difese di scissione, negazione ed identificazione proiettiva nei pazienti tossicomani da noi esaminati.
Consideriamo ora il concetto di principio di sicurezza descritto da Sandler come mediatore dello sviluppo del principio di realtà a partire dal principio del piacere.
Questo autore sostiene che “la maggior parte dai nostri comportamenti quotidiani ha la funzione di mantenere un livello minimo di sentimento di sicurezza e che molte manifestazioni cliniche (incluse le tossicomanie) diventano più comprensibili se le consideriamo come tentativi dell’Io per preservare tale livello di sicurezza”.

Ci pare opportuno aggiungere le riflessioni di G.S. Klein (1976) relative al meccanismo della scissione. Questo autore sembra segnalare che uno dei modi per garantire il sentimento di sicurezza é quello di garantire l’integrità del sé rispetto ad obiettivi e tendenze incompatibili. Egli nota che “la continuità e l’integrità del sé sono risolte attraverso una dissociazione del sé”. L’analogia con l’uso di eroina é appariscente se si consi derano alcuni aspetti rilevabili nell’indagine clinica di pazienti tossicomani. 

In primo luogo questi pazienti determinano nell’interlocutore rappresentazioni di sé diverse in tempi diversi e rappresentazioni del sé diverse fra loro in persone diverse a causa di un uso prevalente di meccanismi di scissione e negazione quali meccanismi di difesa. Ne consegue una percezione ed una espressione dal sé multipla w discontinua che si accentua sinergicamente con l’uso delle droghe che determinano, se assunte o meno, stati diversi del sé scissi fra loro.Tali caratteristiche del paziente tossicomane possono creare gravi problemi in sede di trattamento.
Riflettendo ora sull’esame di realtà ricaviamo altre importanti indicazioni. Kernberg (1975, 1987) cita l’integrità dell’esame di realtà come criterio clinico per la diagnosi di organizzazione borderline di personalità.
Analogamente abbiamo visto in precedenza che anche Volkan attribuisce un ruolo determinante all’integrità dell’esame di realtà per la diagnosi di questi pazienti.
I colloqui clinici con questi pazienti, i test proietti,vi (in primo luogo il test di Rorschach) permettono di osservare “in debolimenti” dall’esame di realtà sia nei pazienti tossicomani che nei pazienti affetti da disturbi di personalità, senza tossicomania. Kernberg stesso segnala la possibilità di temporanei cedimenti o disfunzioni dell’esame di realtà nei pazienti borderline.
L’esame di realtà appare dunque essere non solo una funzione intorno alla quale si evidenziano le analogie fra disturbi di personalità e tossicomania, ma appare anche come punto cruciale della valutazione di questi pazienti correlato con il mantenimento di un sentimento di sicurezza. Si può ipotizzare che l’Io intervenga sulla percezione della realtà attraverso meccanismi di difesa aventi lo scopo di manipolare il processo percettivo di quel tanto da neutralizzare la componente affettiva della diade cognitivo-affettiva della rappresentazione della realtà, ottenendo così lo scopo di mantenere l’omeostasi affettiva, e quindi lasciando inalterato il sentimento di sicurezza.
E’ nostra impressione che questo sia il funzionamento della personalità premorbosa circa la risoluzione dei conflitti che il soggetto ha con la realtà e con le persone significative a cui il soggetto attribuisce una responsabilità all’interno di questo conflitto. E’ opportuno ricordare a questo proposito il tratto anaclitico insito nei disturbi di personalità. Si nota infatti nello scenario psichico dei disturbi di personalità che, nel conflitto fra ideale dell’Io, Es e realtà, un ruolo importante è giocato dalle persone che tali pazienti chiamano in causa di volta in volta come mediatori di questo conflitto: o perché ritenuti responsabili dei disagi vissuti dal paziente, e quindi oggetto di imponenti sentimenti ostili, o perché vissuti come idealizzati salvatori nei confronti dei quali i pazienti provano intensi sentimenti di attaccamento, con connesse angosce di separazione.
Diversamente da ciò nello scenario delle nevrosi troviamo un conflitto sostanzialmente intrapsichico tra Es e Super Io, in cui nessuno é chiamato in causa; come pure nel conflitto fra Io e realtà che anima lo scenario della psicosi, nessun personaggio, vissuto come entità separata, é chiamato a mediare tale conflitto data la natura fusionale della relazione oggettuale. Su questo tema sono di grande interasse le riflessioni di Bergeret (1990).
Ebbene quando le difese messe in atto (scissione, negazione, identificazione proiettiva, svalutazione, idealizzazione) si dimostrano inefficienti la droga interviene ripristinandone per così dire l’efficienza attraverso effetti di scissione e negazione-mimetici. Tale é l’effetto che noi riconosciamo alla droga se proviamo ad interpretarne gli effetti dal punto di vista delle difese dell’Io.
In tale ottica sono allora facilmente riconoscibili nelle droghe (in particolare nell’eroina) effetti scissione-mimetici, negazione-mimetici, realizzati attraverso l’annullamento della quota affettiva di ogni esperienza, o, in altre parole, attraverso lo scompaginamento delle diadi affettivo-cognitivo per mezzo delle quali si compongono i dati dell’esperienza nelle rappresentazioni psichiche.
Se nel coniugarsi della tossicomania ad un disturbo psichico sottostante i concetti chiave sembrano essere dati dalla necessità di mantenere un sentimento di sicurezza e dalle strategie di fronteggiamento (difese e comportamenti), la tossicomania sembra a questo punto interpretabile, alla luce di quanto detto, come scompenso di tecniche di fronteggiamento per mantenere un sentimento di sicurezza integro. (Potrebbe ipotizzarsi, attraverso l’uso di droghe, un congelamento del disturbo di personalità sottostante che così non si aggraverebbe in termini strutturali).
Intorno ai temi del fronteggiamento e del sentimento di sicurezza si riconoscono studi che riconducono al problema dei disturbi borderline per vie diverse e possono essere spunto di importanti riflessioni circa quanto si é detto in senso evolutivo.
Relativamente alle strategie per il mantenimento di un sistema di sicurezza ci sembra importante tenere conto di quanto osservato da Main e Kaplan (19851 somministrando l’Ainsworth Strange Situation. Si tratta di una breve osservazione di laboratorio per genitori e bambini. In base a questo i bambini dai 12 ai 18 mesi vennero classificati come sicuri, insicuri evitanti, insicuri disorganizzati o ambivalenti, secondo la risposta alla riunione con i genitori.
Rivalutati a 6 anni di età con altre metodologie testali i comportamenti hanno mostrato una suggestiva persistenza. L’autrice ipotizza ciò come espressione di modelli operativi interni dell’attaccamento che sarebbero costituiti da un set di regole consci ed inconsce per l’organizzazione di informazioni rilevanti per l’attaccamento e, per ottenere o limitare l’accesso a quelle informazioni , essi dirigono non solo i sentimenti ed il comportamento, ma anche l’attenzione, la memoria e i processi cognitivi.
Le autrici non sanno dare una risposta circa la possibilità di modificare i modelli operativi interni di attaccamento. Riprendendo i nostri concetti chiave del sentimento di sicurezza e delle strategie di fronteggiamento, tale lavoro di Main e Kaplan sembrerebbe segnalare la formazione di modelli operativi precoci capaci di rimanere stabili nel tempo, vale a dire strategie più o meno efficaci per il fronteggiamento di situazioni “difficili”.
Il modello operativo sicuro, permettendo all’individuo un migliore riconoscimento della sofferenza ed una migliore regolazione dell’esperienza, consentirebbe un approccio più flessibile ed adeguato alle situazioni penose. Il modello di evitamento, orientandosi alla difesa dalla consapevolezza di situazioni penose, non rende possibile l’integrazione dell’esperienza.
Il modello ambivalente, caratterizzato da un livello elevato di ansia con focalizzazione su di essa, limita il raggiungimento della fiducia in se stessi e della autonomia.
Ammaniti (1992) nel descrivere questi aspetti riconosce una decisa caratteristica adattativa al primo modello e un carattere di rigidità agli altri due.
In attesa di conferme provenienti da ricerche su questi aspetti ci pare opportuno segnalare la necessità di chiarire il ruolo che i modelli operativi giocano nel costituirsi dei disturbi di personalità.
Su altri fronti di ricerca il tema del sentimento di sicurezza trova espressione nello studio del rapporto fra borderline personality e trauma condotto da Perry (1992), il quale evidenzia diversi ordini di traumi:

a) abuso: sessuale, fisico, testimonianza di violenze
b) grave negligenza fisica e psichica
c) separazioni persistenti dai genitori
d) caos e imprevedibilità nelle regole e risposte dai genitori.

Con la Traumatic Antecedent Interview vennero indagati in 75 pazienti periodi di 0 – 6 anni, 7 – 12 anni, 13 – 18 anni. E’ stata così messa in evidenza una prevalenza dei tre tipi di abuso nei soggetti borderline (88%).
La negligenza era significativamente correlata con i borderline (fino a 41%1 (il caos fu correlato anch’esso con i borderline -28%- come purè la separazione e la perdita -24%-).

Rimangono ora da citare alcuni dati psicobiologici.
Si fa riferimento agli studi di Siever e Kenneth (1991), i quali, partendo dalla annotazione che alcuni disturbi della personalità e pazienti borderline presentano caratteristiche correlate alla ansietà /inibizione/impulsività /aggressività, ne prendono in considerazione i correlati biologici. Una predisposizione al comportamunto impulsivo implica una disfunzione dai sistemi modulanti ed inibenti l’azione ed il comportamento aggressivo in risposta agli stimoli ambientali. Una riduzione di funzione del sistema serotoninergico appare associata con la disinibizione di comportamenti impulsivi ed aggressivi in pazienti con disturbi di personalità. Infatti si rileva in essi una ridotta concentrazione di 5 HIAAC., in particolare dopo T.S., a seguito di comportamenti violenti. Parrebbe coinvolto anche il sistema noradrenergico, nel senso che una accresciuta attività noradrenergica determinerebbe aumento di aggressività. (Il Litio aumenta la funzione dei recettori serotoninergici postsinaptici).
Per quanto riguarda i correlati biologici dell’ansia/inibizione in riferimento ai disturbi di personalità, sono stati ipotizzati ma non ancora precisamente studiati. Circa l’instabilità affettiva gli stessi autori segnalano la presenza di latenze più brevi e più variabili dei REM nonché una iperresponsività del sistema noradrenergico.
Siever G Kenneth propongono un “approccio dimensionale psicobiologico alla personalità ritenendolo utile nel generare ipotesi testabili circa i modi in cui differenze innate influenzano le esperienze e le strategie di fronteggiamento del bambino in via di sviluppo. Per esempio il bambino impulsivo potrebbe tendere all’azione come risposta a bisogni interni ed allo stress, mentre il bambino ansioso inibito mostrerà un approccio più cauto nell’intraprendere un’attività”. Le modalità attraverso le quali queste strategie verranno inclusa nei patterns di fronteggiamento della personalità adulta dipenderanno dal ruolo svolto dalle figure parentali e vicarianti. Spesso i genitori si identificano con caratteristiche del figlio che rappresentano sia debolezze inconsapevoli, che qualità. Gli autori concludono affermando che la definitiva “adattabilità” dell’adulto può dipendere dalla “bontà dell’accoppiamento” fra le debolezze e le predisposizioni del fanciullo e le risorse e le richieste di chi si prende cura di lui.
Sottolineano inoltre le differenze individuali come fattore importante nella rappresentazione dell’ambiente da parte del bambino.
“Tanto differenze psicobiologiche individuali relative alla intensità e alla regolazione di emozioni, impulsività, aggressività, ansia, inibizione, che l’organizzazione cognitivo percettiva influenzano il modo con cui il bambino in via di sviluppo si rappresenta il mondo” e, aggiungiamo, il modo in cui elabora le strategie di fronteggiamanto.
Abbiamo citato il lavoro di questi autori che considerano ancora agli inizi questo genere di ricerca (fondato sull’ipotesi di una vulnerabilità biologica alla base dei disturbi di personalità, che rappresenterebbero quindi tentativi persistenti e maladattativi di fronteggiare le suddette vulnerabilità) per il contributo che comunque esso fornisce alla riflessione sull’adattamento e sui disturbi di personalità.
Un lavoro più recente attrae la nostra attenzione rivelandosi molto suggestivo come spunto di discussione all’interno del tema del fronteggiamento e delle strategie adattative. Si tratta del lavoro di Scifo (19921 relativo alla teoria degli oppioidi nell’autismo, nel quale si afferma che “ipossia, infezioni, ipertensione materna e molti altri agenti di disturbo dell’omeostasi feto-placentare (della sensazione di sicurezza?) provocano un immediato innalzamento dei livelli di endorfina nel plasma e nel liquido amniotico in maniera così caratteristica da poter essere utilizzato come indicatore dello stress fetale.
L’autore indica la possibilità che la sovrapproduzione di endorfine modifichi la sensibilità dei recettori dopaminergici inducendo disfunzioni mesolimbiche e mesocorticali. Ribadisce il ruolo del recettore D2, riconosciuto come modulatore del comportamento sociale e segnala anche l’influenza delle endorfine nel sistema serotoninergico. Nel lavoro viene ipotizzato che il sistema oppioide abbia un ruolo di difesa da stimolazioni dannose ed in senso filogenetico evoluzionistico, come sistema che presiede i meccanismi innati di attaccamento e separazione.
Se nell’ambito della sue vicende di attaccamento e separazione il bambino si trovasse a percepire una esperienza come “dolorosa,” il sistema oppioide sovrastimolato potrebbe bloccare gli afflussi sensoriali percepiti come nocivi.
Se una alterazione cronica del sistema endorfinico viene ritenuta responsabile di una distorsione (chimico- strutturale) che si esprime come autismo, è possibile ipotizzare effetti diversi per stimolazioni del sistema oppioide nella vita fetale e nella prima infanzia non croniche ma ripetute? Si può ipotizzare così una vulnerabilità psichica descritta come disturbo della personalità?
Gli equivalenti biologici appena accennati sono determinati dalle endorfine o la reattività endorfinica é conseguenza di inadeguate strategie di fronteggiamento?
Se così fosse dimostrabile l’adolescente tossicomane ripeterebbe, traendolo dal mondo, una esperienza già vissuta: quella di superare il fallimento delle proprie strategie con il ricorso agli oppioidi come quando bambino, o forse prima, le sue strategie, inefficaci per il fronteggiamento di certe situazioni, determinarono l’iperproduzione di endorfina come estrema difesa.

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